lunedì 11 aprile 2011

How to make more of your city

Imagine the 1992 Olympics had never taken place in Barcelona. It would probably be a city very different from the one many of us have been shown around this afternoon. I am not referring to sports venues, metro stations or any other pieces of infra-structure that cities get furnished with when they host of the Olympic Games. What I am talking about is this: Barcelona seized the opportunity to redevelop whole quarters and, indeed, reinvent itself as a modern metropolis. Previously a city that had lived with its back to the very sea that was washing waves around its heels, Barcelona turned the area around its former harbour into a tourist magnet and even got itself a beach. Distinguished visitors that used to come here for the arts and architecture were soon joined by armies of bag packers in their twenties.

I think this is an excellent example to show that a single event can make a huge difference in the long term. A pompous start doesn’t hurt probably. Nor does a vivid vision for the future. What matters most, though, is this: you need to set a trend in the first place and transform it into a self-sustaining development. Barcelona has achieved this brilliantly. It has shown the world how to make more of your city.

Which is one of the reasons why we have chosen this “City of Wonders” to be our destination this year. I hope we can capture some of the playful, enthralling atmosphere and create new ideas that none of us would have come up with on our own. As I have outlined a few days ago, we have huge potentials at hand – in terms of presently underutilized data from social, sensor and smart sources – so let’s see how we can develop them further. Here is the key to shape the progress of many industries over the next decade. So come on now, and join our Welcome Party.

I’ll leave it here for today. Tomorrow, there will be lots of news, and I’ll keep you informed on this blog as well as on the conference website. Oh yes, and here’s one last reminder that there is an RSS feed on this site if you want to make sure that you don’t miss out on anything.

mercoledì 2 febbraio 2011

Se si spegne la democrazia in rete

È già un mese ormai che il Nord Africa ha iniziato una dura lotta contro le false democrazie da cui è soggiogata.

L’Algeria ha visto nascere violentissimi scontri come protesta per l’aumento dei prezzi dei beni di consumo; in Tunisia invece le proteste sono iniziate prima di Natale, ma il regime del presidente Zine al-Abidine Ben Ali, il più autoritario del Nord Africa secondo solo a quello di Gheddafi, ha impedito il lavoro dei giornalisti e le notizie e le immagini sono filtrate con il contagocce.
In Egitto invece la protesta ha avuto inizio con la "giornata della collera" il 25 gennaio al Cairo, quando migliaia di manifestanti sono scesi in piazza per chiedere la fine del regime di Mubarak e condizioni di vita migliori.

Ho lavorato a lungo con questi paesi e ho speso tanto tempo in quei luoghi: sono profondamente convinto che ciò che sta accadendo sia un evento epocale, paragonabile solamente alla caduta del muro di Berlino.

L’Africa sta combattendo per la democrazia: non è un caso che su 53 nazioni indipendenti che formano il continente africano, solo il Sudafrica sia una vera democrazia!

Il resto dei capi di governo possono tranquillamente essere definiti dittatori che si ammantano di una facciata democratica per controllare il Paese.

È il caso dell’Egitto e del suo presidente Mubarak, che pochi giorni fa ha fatto chiudere interamente la Rete Internet e bloccare il traffico telefonico (SMS) portando come scusa possibili “problemi di ordine pubblico”. Un precedente che ovviamente farà molto discutere.
 Finora le azioni governative più eclatanti compiute contro la libertà di informazione in rete sono state la cancellazione del dominio del sito di Wikileaks e il parziale blocco del traffico in Cina (ad esempio Google) e Iran. In nessun caso, però, si è mai verificato un black-out globale come quello avvenuto in Egitto.

Questo mi fa riflettere: ormai siamo abituati ad essere sempre connessi, cosa succederebbe se non avessimo più questa possibilità?
 Senza connessione telematica riusciranno in Africa a dare la spallata vincente necessaria per la caduta dei regimi?

Io sono convinto di si.
Il tentativo di Mubarak di creare un buio telematico è ben poca cosa rispetto ai cinici interessi che ruotano attorno allo stretto di Suez...(bisogna risalire ai tempi di Nasser per capirne tutta la portata...http://it.wikipedia.org/wiki/Gamal_Abd_el-Nasser)
L’effetto domino causato dalla possibile chiusura dello stretto contribuirebbe ad incrementare l’aumento del prezzo del petrolio, quindi aumenterebbe l’inflazione, che a sua volta potrebbe congelare la tenue primavera della ripresa...
No, l’America non se lo può permettere, e poco importa se El Baradei si era inimicato Bush & Co durante la seconda guerra del Golfo, denunciando le torture a cui erano sottoposti i prigioneri mandati in Egitto...
Adesso è l’uomo perfetto per fare il gioco degli Stati Uniti...

Petrolio non olet

martedì 4 gennaio 2011

Happy new (always on) year

Come cambia velocemente il mondo in cui viviamo: tutto ciò che ci sta intorno sembra subire continui cambiamenti e trasformazioni e, quando parliamo di tecnologia, la velocità di questa “evoluzione” è spesso sorprendente!
Nell'ultimo decennio il ritmo è stato particolarmente sostenuto.

Quante volte si sente parlare delle tecnologie che sono state introdotte negli ultimi 10 anni, e quanto raramente delle tecnologie che, di conseguenza, diventano obsolete. Sentiamo parlare infatti quasi solamente di fotografia digitale e di tutti i progressi fatti in questo senso.
Ma pochi giorni fa ad esempio si è conclusa un'era nel mondo della fotografia: nel Kansas, il 30 dicembre 2010, è stata stampata l'ultima pellicola kodachrome, usata per oltre 70 anni dai migliori fotografi al mondo, oltre che da tutti noi comuni mortali.

Nemmeno il Web è rimasto totalmente estraneo a questi cambiamenti.
Quanti, per esempio, si affiderebbero per l'organizzazione di una vacanza o di un viaggio di lavoro esclusivamente alle agenzie specializzate senza dare più di un’occhiata ai tanti siti online che in fatto di viaggi offrono informazioni e servizi in tempo reale?
Oppure, chi rinuncerebbe ai Dvd in favore del Vhs? Per non parlare delle e-mail che, nonostante siano state gettonatissime in questi 10 anni, sono ormai considerate da molti secondarie rispetto alla diffusione dei social network.

In occasione della fine del decennio appena concluso, il sito Huffington Post ha stilato e pubblicato una lista delle 20 tecnologie che sono diventate obsolete nel corso degli ultimi 10 anni: dal vhs al cd, dal fax al telefono fisso.

Tutto ciò mi fa riflettere: e per quanto riguarda il futuro? Cosa ci aspetta?
Ogni anno che passa siamo sempre più informati, sempre più connessi, ma qual'è il messaggio che dobbiamo cogliere?
A mio parere la tecnologia non è un vantaggio competitivo (o almeno non nell'accezione Porteriana del termine).
Mi spiego: il vantaggio di una tecnologia non sta tanto in se stessa quanto nel suo sviluppo, se non viene implementata non permette di stare al passo con la concorrenza!
Quindi la migliore tecnologia disponibile deve essere necessariamente messa a servizio di una strategia aziendale, che deve comunque essere chiara, semplice e soprattutto comunicata e compresa da tutta l'organizzazione!

Fate molta attenzione quindi, perché nel momento stesso in cui una tecnologia è disponibile e implementabile, una nuova tecnologia è già sulla rampa di lancio!

L'anno appena iniziato sarà ricco di sorprese tecnologiche che piano piano entreranno nelle nostre case e nel nostro modo di lavorare.
Scommettiamo che tra 360 giorni ci volteremo indietro e ce ne accorgeremo?

mercoledì 29 dicembre 2010

Non siamo più tra i maiali d'Europa (Snork)

In questi giorni di calma relativa ho avuto modo di raccogliere le idee e, come sarà sicuramente successo a molti di voi, sono stato particolarmente colpito dagli ultimi avvenimenti Irlandesi.
Sperando che l'argomento susciti lo stesso interesse anche in voi, propongo qualche spunto di riflessione a riguardo:

Se c'e qualcosa di cui non andare fieri all'interno dell'Unione Europea, è fare parte dei PIGS: i “maiali d'Europa”.

Questo termine di stampo britannico “ironizza” sulla situazione del debito pubblico di questi paesi (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna), che mettono a repentaglio la stabilità economica dell'intera Unione.
Volete sapere la novità? Non siamo più tra i “maiali d'Europa”!
Ebbene si, la “I” che prima stava ad indicare il belpaese, ora è appanaggio dell'Irlanda.
Eppure erano in tanti a guardare con ammirazione i progressi compiuti dalla "tigre celtica", le cui tasse al 12,5% erano più che invitanti per gli investimenti multimiliardari delle multinazionali di tutto il mondo.

Com'è possibile che in così breve tempo si sia creato un disastro simile? Come ha fatto la classe dirigente irlandese a permettere che un paese di 5 milioni di abitanti, in pieno boom economico, si riducesse in questo stato?
Probabilmente si è arenata da qualche parte o ha fatto male i conti, ma senza dubbio un grosso “aiuto” le è stato fornito dal settore bancario: gli istituti di credito sono stati travolti dalla crisi finanziaria, i cui effetti sono stati aggravati dallo scoppio della bolla immobiliare.
Negli ultimi tre anni i prezzi delle case sono scesi di quasi il 50%. Il governo è stato così costretto a nazionalizzare Anglo Irish, Irish Nationwide ed Ebs, oltre a iniettare corpose dosi di liquidità in Allied Irish e Bank of Ireland.
Questo ha fatto esplodere il deficit del paese, impennare rendimenti e spread sui titoli di stato.

Ed eccoci qui, con un piano d'aiuti da ben 85 miliardi elaborato dall'UE: 50 miliardi per risanare le casse dello stato e 35 per il salvataggio del sistema bancario.

Personalmente non riesco a capacitarmi di come siamo arrivati a questo punto: nell'agosto del 1993 ero a Dublino per la chiusura della leg europea dello ZooTV tour degli U2, anche se ufficialmente ero li per studiare l'inglese, mentre nel 2009 ero in Irlanda per dei meetings europei; quindi ho potuto assistere al “prima” e al “dopo”.
Lasciatemi dire che sono rimasto totalmente scioccato dal cambiamento che ho notato in quei pochi anni!

Da quello che ho potuto leggere sui giornali e vedere con i miei occhi, ho capito subito che se l'Italia vuole evitare di rientrare a far parte dei PIGS deve stare estremamente attenta: il passo sarebbe brevissimo, soprattutto in momenti turbolenza come questo l'instabilità politica potrebbe giocare dei brutti scherzi, con le locuste finanziarie pronte a scommettere contro i fondi sovrani.

Suggerisco allora le tre “I”: Innovazione, Infrastrutture, Inglese.
Chi mi conosce lo sa: non è uno spot politico o elettorale, ma piuttosto una mia personale ricetta per essere competitivi in un mondo sempre più piccolo e concorrenziale.

sabato 30 ottobre 2010

Perchè fermarsi quando c'è tanto altro da scoprire?

Si dice che fra poco entreremo nell'era degli Zettabyte (1 miliardo di Terabyte). Che ormai è il termine numerico adeguato per misurare il traffico internet. Ma è pensabile che esistano ambienti analitici di tali dimensioni? Molte aziende clienti di Teradata lavorano con Terabyte di dati e riescono a realizzare cose incredibili. Che senso ha disporre di enormi volumi di dati, tanto per averli? Uno Zettabyte equivale a 1024 Exabyte, che a sua volta equivale a 1024 Petabyte, e il Petabyte club è ancora oggi un circolo molto esclusivo riservato ai clienti Teradata - anche se l'ammontare dei dati in loro possesso cresce ad un ritmo pazzesco. Che interesse possono avere a collezionare così tanti dati? Ci sarà pure un momento in cui una mole di dati così smisurata diventa un ostacolo ai fini analitici invece che essere un'opportunità, oppure no?

Ascoltando i “big guys”, non si ha l'impressione che si preoccupino molto delle dimensioni. I grandi volumi di dati sembrano piuttosto essere la loro palestra per sperimentare nuovi tecniche e per allenarsi in vista di nuove sfide. Mentre molti architetti di data warehouse si dedicano anima e corpo a progettare interventi in regime di economia, queste aziende sono impegnate a non farsi sfuggire neppure i minimi dettagli. Oliver Ratzesberger di eBay ha portato l'esempio di un suo collega che dice che non bisogna mai buttar via alcun dato, perché non sai mai quello che ti potrà servire in futuro. Il punto della questione è avere i dati pronti quando l'idea di business giusta arriva, invece di dover aspettare altri 12 o 30 mesi per raccogliere il materiale necessario ai vari test.

Questa sembra essere la differenza essenziale tra il Petabyte club e tutti gli altri, l'attitudine che così spesso li posiziona più avanti degli altri: stanno smettendo di utilizzare i dati per avere conferme di quello che già sanno per concentrarsi sulla scoperta di cose davvero nuove. Questo impone loro di acquisire dati di alta qualità e fine dettaglio piuttosti che dati riepilogativi. Ad esempio, memorizzare informazioni sulle transazioni di denaro permette di isolare e identificare modelli a lungo termine. Ma è l'interazione che un cliente ha con la società prima e durante l'acquisto che racconta tutta la storia, specialmente quando la vendita non dovesse aver luogo alla fine del processo – che è forse il caso più interessante. Sui siti web dei semplici dettagli di usability si possono rivelare generatori di vendite di massa. Ma voi non ne sarete a conoscenza, a meno di monitorare e analizzare le interazioni con i clienti. I membri del Petabyte club lavorano con l'obiettivo di essere in grado di accorgersene al momento opportuno.

La lezione da imparare da questi giganti è che quando si progetta un data warehouse e si pensa al reporting e a un po' di analisi ha senso guardare anche al di là dei primi anni. In una fase successiva, una volta che l'azienda avrà imparato a fare pieno uso delle proprie capacità di analisi e di conseguanza a porre un sempre maggior numero di domande al dipartimento di analisi dei dati, sarà finalmente in grado di prevedere, reagire e attivare eventi di business. Un esempio calzante è il settore delle telecomunicazioni. Alcuni anni fa molti avevano dubbi sui vantaggi di memorizzare i dettagli delle chiamate. Oggi la realtà è che chi non è in grado di analizzare questi dati perchè non li possiede, probabilmente faticherà persino a rimanere nel business visto che i suoi concorrenti, che quei dati invece li hanno, avranno un grande vantaggio competitivo.

Lo stesso sta accadendo con i dati OSS. Questi dati si stanno rivelando estremamente utili se si vuole comprendere che esperienza stanno facendo i vostri clienti con i vostri servizi. Ci sono, ad esempio, colli di bottiglia dovuti alla larghezza di banda che spingono i clienti ad andarsene dal vostro sito? E non c'è modo di individuare questi problemi in tempo reale e risolverli subito? Beh, certo che c'è, a meno che abbiate deciso di rinunciare a catturare quei dati in dettaglio.

Vale la pena di tenere bene a mente questa lezione, dato che tipologie di dati come quelli originati dai social media e da tutte le altre nuove fonti di dati stanno per essere integrati negli analytics di livello enterprise. Un semplice assortimento di dati non basta a fare primeggiare un'azienda nel proprio campo e sono perfettamente consapevole che questo potrebbe essere una sfida enorme per molte imprese: se gestire Petabyte di dati è stato come rompere il muro del suono, passare al livello Zettabyte è come cercare di viaggiare alla velocità della luce. E allora, rifacendomi a Freddy Mercury, il consiglio è Don't Stop – mai fermarsi e continuare a oltrepassare i limiti per arrivare a nuovi risultati e nuovi successi! Sono sicuro che nei prossimi 3-5 anni ne vedremo delle belle.

giovedì 28 ottobre 2010

Socializzazione alla Partners Conference di Teradata

Oggi Darryl McDonald ha esposto il suo concetto di socializzazione dei dati (i momenti di socializzazione sono un elemento chiave di ogni conferenza, che strano che finora non abbiamo mai pensato a questo tipo di dati!). Se volete sentirlo direttamente dalla voce di Darryl lo potete fare qui. In molti si sono incuriositi riguardo questo argomento dopo il mio post di ieri, quindi proverò a spiegarvelo così come io l’ho capito.


Darryl fondamentalmente sostiene che per trarre valore dai propri dati, ci sono 3 passi necessari da fare: integrare, esplorare e condividere tali dati. Questo è esattamente ciò che si fa con i database di qualsiasi dimensione, sia che si stia utilizzando un semplice data mart o un vero e proprio data warehouse aziendale. Per dirla con parole mie, il messaggio di Darryl è che ormai siamo abituati a costruire piccoli mondi in miniatura – alcuni più grandi, altri più piccoli – e tendiamo ad accontentarcene, mentre invece nel mondo reale i dati stanno virtualmente esplodendo. Darryl ha utilizzato come esempi i social media, i dispositivi mobili e i sensori. Non appena le aziende cominciano ad interessarsene, tutte queste fonti di dati rivelano le loro enormi potenzialità di business. Al momento siamo nel bel mezzo di questo processo che nei prossimi 2 o 3 anni si farà anche più intenso.

Quello che Darryl ha voluto dire con il suo discorso, è che dobbiamo percorrere nuove vie per trovare e cogliere nuove opportunità. Teradata sta fornendo i mezzi tecnici per farlo.


Il tutto si riduce a quello che chiamo “gap di realizzazione”, che si manifesta perché negli anni passati ci è stato detto (in puro stile didattico...) che l’innovazione è guidata dal business: ci serve, quindi lo inventiamo.

Al contrario io credo che i cambiamenti nel business saranno guidati dalle nuove tecnologie, e non viceversa. Teniamo presente che i dispositivi mobili e i dati geospaziali sono arrivati prima di quei servizi location-based ora tanto apprezzati.

Stephen Brobst, CTO di Teradata, passando quasi inosservato aveva previsto tutto questo appena 18 mesi fa. Questo gap è stato colmato ad un ritmo pazzesco.


Ma tornando agli aspetti tecnici, i 3 livelli integrazione-esplorazione-condivisione dei dati ci hanno proposto una sfida molto interessante.

Da un lato sappiamo che per una comprensione approfondita è necessario integrare i nuovi dati con quelli già esistenti – per esempio, proporre a ciascun cliente offerte adeguate basandosi solo sui dati relativi alla loro ubicazione geografica non è certo sufficiente! Dall'altro lato c’è una varietà completamente nuova sia di tipi di dati, sia di strumenti analitici specializzati in queste tipologie di dati. Questo è il motivo per cui Teradata ha speso tante energie nell’integrazione con gli strumenti dei propri partner e per cui stiamo testando nuove modalità di collaborazione con le nostre piattaforme.

A detta di Darryl, per sostenere la visione di un ecosistema aziendale aperto sia ai dati che alle persone, tutto è utile: dalle in-database analytics ai laboratori di dati e all’LDM unificato fino all’allineamento con i sistemi Hadoop.


Noi di Teradata stiamo rendendo possibili le opportunità di business del domani grazie all’idea ben chiara di quali dati vengono generati e al fatto che stiamo rendendo disponibili tali dati per l’analisi. La piattaforma di socializzazione dei dati di Darryl è il nostro contributo concreto in risposta alla sfida e, allo stesso tempo, lo strumento che ci permette di stimolare tutti quei pionieri che sono pronti a cogliere le nuove opportunità.

Dopo tutto le idee non nascono dall’incontro di persone diverse, ciascuno con retroterra culturali e sociali diversi?


Per ora è tutto. Se invece state cercando ispirazioni d’altro tipo, date un’occhiata ai Sand Artists che si sono esibiti durante la sessione generale di oggi.

mercoledì 27 ottobre 2010

Viaggio nel tempo con il data warehouse

Non voglio certo alludere al jet-lag che senza dubbio si sta facendo sentire tra molti di quelli che, come me, sono venuti dall’Europa. Il viaggio nel tempo di cui sopra è riferito piuttosto all’eccezionale annuncio fatto oggi alla Teradata Partners conference, almeno dal mio punto di vista.

Come avevo anticipato ieri, le novità tecnologiche al media briefing di oggi sono state moltissime, ci tornerò su fra poco. Fermiamoci un attimo a pensare: ci siamo mai chiesti perché abbiamo preso una decisione che si è rivelata essere totalmente sbagliata?

Quando è capitato, sono sicuro che poi abbiamo provato a trovare una spiegazione: sicuramente non abbiamo prestato abbastanza attenzione ad alcuni elementi, o ci siamo fatti distrarre da altri, e poi ci siamo ripromessi di non commettere più quell'errore né alcun tipo di errore.Il Data Warehousing si occupa proprio del supporto decisionale; infatti a chi si chiede perché certe decisioni sono state prese in una certa maniera basterà riavvolgere i dati per avere una visuale più completa.

Finora non è stata una cosa molto semplice da fare per diversi motivi: i dati vengono modificati col tempo, alcuni vengono sovrascritti, e questo è il motivo per cui siamo abituati a scattare delle “istantanee” di tanto in tanto. Anche così però non è abbastanza per capire esattamente quando sono avvenuti certi cambiamenti e soprattutto che effetto questi hanno avuto sui dati.

Fino ad oggi la soluzione di tale problema avrebbe richiesto un’enorme quantità di lavoro manuale (con codici estremamente complessi): oggi questo compito è svolto interamente dal Teradata Database 13.10.

L’effetto di questa novità sarà molto simile a quello della soluzione geospaziale di qualche tempo fa: si è sempre fatto affidamento sui codici di avviamento postale per venire a capo del problema della individuazione geografica, ma da quando è stata introdotta la soluzione geospaziale tutte le applicazioni mobili l'hanno subito adottata. Scommetto che il pulsante di riavvolgimento temporale si troverà ovunque nei prossimi anni, e lo si potrà utilizzare per scoprire quali informazioni si possedevano realmente al momento di una certa decisione, o anche per renderlo evidente ad altri.

Grazie a questa soluzione si potrà rispondere molto più facilmente ed accuratamente a moltissime domande relative al business. Questa idea mi affascina moltisimo, forse perché mi fa venire in mente il film Ritorno al Futuro, che è uscito in Italia esattamente 25 anni prima di questo annuncio di Teradata. Se potessi tornare agli anni ’80, probabilmente ora starei ascoltando un vinile degli U2.

Mi chiedo se mi sentirei più come “Marty McFly” (Michael J. Fox) che non si rendeva pienamente conto di ciò che gli stava succedendo, oppure come “Doc”, sempre e completamente a suo agio.

Ma ora torniamo alla conferenza con le altre novità più interessanti:


- Teradata offre un Unified Logical Data Model che consente alle aziende di mappare tutte le loro value chains dall’inizio alla fine (e probabilmente superare le barriere di ogni singolo settore che prima erano trattate con specifici LDM)


- Una Platform family, che ora conta 5 componenti, che ha migliorato performance, storage e facilità di utilizzo


- Teradata Relationship Manager ha incorporato i moduli per coinvolgere i clienti su smartphone, iPad e siti di social media in pochi secondi - con tutte le conoscenze memorizzate nel data warehouse a portata di mano


- Il Portfolio Teradata Accelerated Analytics ora include nuovi tipi di dati, tecnologie emergenti, ottimizzazione dei partner, e strumenti per lo sviluppo di applicazioni.




Anche i nostri partner hanno presentato parecchie novità, ma oggi non sono in grado di parlarne: non avendo il dono dell’ubiquità non posso essere presente a tutte le sessioni parallele. Mi impegno però a parlarne il più presto possibile.

A presto!